La Svedese

Roma non ha più un padrone. È una città libera, dove chi ha fegato può prendersi un pezzo. E lei lo fa. Sharon, detta Sharo, poco più di vent’anni, bionda, alta, magra, sguardo sempre imbronciato, non è una bellezza da copertina. Ma ha qualcosa che attrae gli uomini come il miele le mosche: un’energia selvaggia, una calma pericolosa, un’ambizione che non chiede permesso.

Cresciuta in periferia, con una madre invalida e una serie di lavoretti persi per colpa delle mani lunghe dei capi, Sharo ha imparato presto che il mondo non regala niente. Poi, una notte, cambia tutto: completa una misteriosa consegna per conto del fidanzato, un piccolo balordo. Un gesto semplice. Ma è l’inizio.

Con l’appoggio di un aristocratico annoiato dal potere, Sharo entra nel sottobosco romano. E inizia la sua ascesa implacabile. Fredda, intelligente, precisa, impara in fretta le regole del gioco. E poi le rompe.

La malavita vera, quella che comanda il mercato della droga, la osserva. Prima con curiosità. Poi con rispetto. Poi con timore. Poi con odio.
Perché lei non chiede protezione. Pretende rispetto.
Perché non ha paura. E non conosce limiti.

Nella zona oscura della città, nessuno la chiama più Sharon. Per tutti è la Svedese — un nome che incute timore, un mito che cresce nell’ombra.

Con uno stile crudo, magnetico e cinematografico, La Svedese racconta l’ascesa di una donna fuori dagli schemi, in un’Italia degli anni Settanta segnata da caos, potere e trasformazioni. È un romanzo sulle classi, sulle identità, sulle occasioni che cambiano una vita.
Sul coraggio di prendersi ciò che non ti è stato dato.

Un inno ribelle a chi parte dal basso e decide di non tornare mai più indietro.